GENOVA RENDE OMAGGIO AL “SUO” GIANNETTO FIESCHI, PITTORE TALENTUOSO E VISIONARIO, EPPURE CONSEGNATO ALL’OBLIO DELLA STORIA

 

Chi ha paura di Giannetto Fieschi? Così nel 1996 intitolava un suo testo critico Enrico Crispolti, e si riferiva a un artista che, apparso in sordina sulla scena artistica negli Anni Cinquanta e affermatosi poi nel decennio seguente, suscitò reazioni di stupore, sconcerto e anche irritazione. Ebbe a subire poi una sorta di rimozione, e oggi si può dire che i giovani praticamente ignorino il suo nome.

 

LO STILE DI GIANNETTO FIESCHI

Nel centenario della nascita, la serie di mostre, a cura di Andrea B. Del Guercio, con cui la sua città, Genova, lo ricorda, può essere finalmente l’occasione per colmare un vuoto imperdonabile nella nostra recente memoria e far risaltare i meriti di una figura che fu assolutamente eccentrica, irriducibile ed esorbitante nel panorama culturale del secondo Novecento. L’iconologia di Giannetto Fieschi (Zogno, 1921 – Genova, 2010) attinge dal campionario di archetipi, di miti, di modelli consolidati dalla tradizione, ma non cessa di di torcerli, di spiazzarli, di riformularli, di ricombinarli in modalità inedite con le emergenze della quotidianità: in questo consiste il carattere “neologico” che egli attribuiva alla sua opera. I suoi soggetti sono minotauri e cinocefali, immagini cristologiche di struggente carnalità, corpi che si smembrano e si ricompongono in sacche di tenebra e in vertigini di luce.
Il vero miracolo del suo stile è stata la capacità di ottenere una polifonia unitaria utilizzando una combinazione variatissima di registri. Il risultato è una pittura visionaria, che apre una dimensione mentale inesplorata, un universo perturbante nel quale i temi del sublime e dello spirituale si fondono con i motivi del disfacimento e dell’atrocità. Come possiamo vedere già nelle prime due delle mostre previste, ogni suo quadro è campo di forze, vibrazione, tensione profonda, è il convergere e irraggiarsi di molteplici direttrici.

 

LE MOSTRE-OMAGGIO DI GENOVA A FIESCHI

Nelle stanze del Museo Diocesano che si aprono sul loggiato medievale del chiostro di San Lorenzo è in corso l’esposizione intitolata Giannetto Fieschi. Dentro il Sacro. In questo contesto dalla storia millenaria, legato alla tradizione nobiliare dei suoi avi (i Fieschi storici avversari dei Doria) che nel Medioevo e nella tradizione cristiana affondava le radici, i dipinti, le sculture e le grafiche dell’artista riguardanti la sfera religiosa sembrano trovare il loro luogo deputato. I dipinti esposti sono una ventina, quasi tutti di considerevoli dimensioni, a partire da alcune prove della fine degli Anni Quaranta, in cui è possibile vedere la genesi dello stile personalissimo di Fieschi. Ben prima che prendessero piede le poetiche dell’Informale, egli realizzò delle superfici grumose e materiche, ma per intenderle come il termine di una polarità dinamica, in cui si intersecavano raffinate tessiture disegnative memori della Secessione e dei precoci studi da lui condotti sulla grafica cinquecentesca. Le grandi tele facenti parte del ciclo della Via Crucis (1952-53) testimoniano una religiosità esistenzialmente travagliata e carnalmente partecipata. Di particolare rilevanza la presenza de Gli Evangelisti(1949), in cui l’inserimento di oggetti reali in un contesto pittorico precorre, come è stato ampiamente riconosciuto, il lavoro di Rauschenberg e del New Dada.
In una sala di Palazzo Ducale si è tenuta la seconda mostra del ciclo, intitolata L’esperienza della pittura, con quattro grandi dipinti, tra cui il Corpus Spirituale del 1951 e La strage degli innocui del 1954. Le tappe successive avranno luogo al Museo di Villa Croce e alla GAM di Nervi, con un’appendice toscana, a San Gimignano.

 

LA PITTURA SECONDO FIESCHI

Fieschi si sentì sempre fuori tempo, presentendo sviluppi futuri dell’arte ma sempre in qualche modo eccedendoli. Alla Biennale di Venezia del 1964 uno dei suoi capolavori, Dall’alto del patibolo Antonio Lorenzo Lavoisier dimostra e proclama l’indistruttibilità della materia, grandioso esempio di “crocifissione laica”, sollevò polemiche a non finire. Contrario a qualsiasi tipo di raggruppamento o tendenza, si trovò associato alla cosiddetta Nuova Figurazione, alla quale solo per superficiali affinità sentiva di appartenere.
In virtù della capacità di accogliere e di compenetrare nella sua ricerca una smisurata serie di transiti, (nella sua affermazione “io non unisco, metto in contemporaneità” è presente già lo spunto di una sensibilità postmoderna), non è inesatto vederlo oggi come il precursore di una sorta di Transavanguardia attuata con tre decenni d’anticipo; con la macroscopica differenza che in Fieschi i risultati formali erano la conseguenza di una riflessione su una pittura che da questo punto di vista si potrebbe dire, per contro, analitica ante litteram.
La vastissima mole dei suoi scritti, risvolto inseparabile della sua opera, insiste ossessivamente sulla portata speculativa e conoscitiva dell’atto del dipingere, per cui la forma diventava per lui una funzione gnoseologica e la premessa per una presa empatica sullo spettatore, e aveva come fine la rigenerazione etica dell’individuo contemporaneo, e per questo motivo parlava esplicitamente di pittura messianica. Perché, come ebbe a dire, “l’ultima cosa a cui tende la pittura è la pittura”.

 

Alberto Mugnaini